La sindrome di Menière, più che una vera e propria patologia è un insieme di sintomi che comportano attacchi acufeni (e cioè fischi e ronzii ricorrenti in una o entrambe le orecchie), sordità, nausea, vomito, vertigini e/o una sensazione di pressione aumentata all’interno dell’orecchio. La sindrome di Menière, deriva, infatti, da un aumento della pressione dei fluidi contenuti nell’orecchio interno a livello del labirinto auricolare. Oltre ai sintomi sovraelencati si possono inoltre associare nistagmo (movimenti involontari e ritmici degli occhi), sudorazione. I sintomi propri della sindrome di Menière si presentano generalmente come “crisi” episodiche, con una durata che può variare da pochi minuti fino a più di 24 ore, e possono esacerbarsi con il movimento che quindi andrebbe ridotto al minimo. La sindrome si presenta generalmente negli adulti con età maggiore di quarantacinque anni.
La malattia di Menière nella maggior parte dei casi colpisce un orecchio solo per poi estendersi anche al controlaterale in una percentuale che, in alcuni studi, può arrivare fino a più del 70% dei casi.
Alcuni pazienti possono perdere la capacità di svolgere le normali attività lavorative e sviluppare una forte disabilità. Tuttavia, una percentuale di pazienti superiore al 60% tende a guarire con il tempo, spesso indipendentemente dai presidi medici attuati.
La malattia non ha ancora una causa ben individuata. Alcune delle ipotesi più accreditate affermano che, a parte l’aumento della pressione nel canale vestibolare nell’orecchio interno (responsabile del senso di equilibrio), infezioni delle alte vie respiratorie, traumi del cranio e infezioni dell’orecchio interno possono favorirne l’insorgenza.
La diagnosi si basa principalmente dai sintomi che il paziente presenta. Può tuttavia essere indicato eseguire un esame audiometrico, un esame di Risonanza magnetica oltre che una visita neurologica accurata. Di sicuro solo lo studio autoptico con valutazione dell’orecchio medio a cranio aperto può diagnosticare con assoluta certezza la presenza della Sindrome di Menière.
Fino a pochi anni fa il trattamento principale per la sindrome di Menière era a base di presidi farmacologici atti a ridurre la pressione del fluido contenuto nel labirinto membranoso a livello dell’orecchio interno. I farmaci principalmente utilizzati a tale scopo risultavano essere antistaminici e steroidi. In alternativa potevano essere utilizzati anche i diuretici. Per ridurre significativamente la sintomatologia associata alla sindrome di Menière come per esempio la nausea e le vertigini venivano comunemente usati rispettivamente farmaci come la Metoclopramide (via intramuscolo) e le benzodiazepine. In alcuni pazienti l’utilizzo di antibiotici, in particolare la gentomicina iniettata direttamente all’interno dell’orecchio interno hanno mostrato una buona risposta grazie alla destabilizzazione delle cellule ciliate e la riduzione dell’impulso al nervo vestibolare con conseguente diminuzione della sensibilità all’idrope e all’aumento di pressione.
In caso di vertigini molto marcate con severa difficoltà a condurre una vita di relazione per il paziente l’intervento chirurgico risultava l’unico procedimento possibile. La neurectomia vestibolare ha una durata media di 4-5 ore e consiste nell’interrompere la connessione del nervo vestibolare con il sistema cerebrale. L’operazione non è scevra da rischi, anzi; veniva infatti presa in considerazione solo in casi molto severi dove ogni altro tentativo non era andato a buon fine.
La sindrome di Menière non è ancora entrata a far parte delle patologie invalidanti. Tuttavia i suoi sintomi sono riconosciuti come tali.
Alcuni studi hanno inequivocabilmente dimostrato che taluni pazienti mostrano una progressiva diminuzione performance cognitiva. Le capacità intellettive generali rimangono sostanzialmente inalterate, ma risulta evidente che una malattia di lunga può condurre anche ad un calo di prestazioni in generale.